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2017, Europa e globalizzazione ai titoli di coda

29 Dicembre 2016

Le previsioni di Statfor: la dissoluzione dell’Europa, l’isolazionismo americano, il ritorno dell’inflazione. Ma soprattutto la progressiva costruzione di un mondo a blocchi. Sempre meno interdipendente, sempre più bellicoso

L’America che si chiude in se stessa, l’inevitabile ascesa dei nazionalisti in Europa, la fine delle sanzioni alla Russia, la guerra commerciale fredda tra Washington e Pechino. E ancora, il ritorno dell’inflazione, le turbolenze sui mercati. Sono questi i principali punti su cui Stratford, società di Austin, Texas, specializzata in servizi di intelligence e consulenze strategiche, dedica le principali attenzioni nel suo Annual Forecast dedicato al 2017. Un insieme di previsioni che, se confermati dalla realtà, assestano un colpo micidiale alla globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta. E che delineano – insieme a trend di lungo periodo come la demografia, la produttività declinante, l’innovazione tecnologica e la nuova geografia del lavoro – un futuro prossimo costruito su un assetto macro-regionale, “a blocchi”. Che, la storia insegna, tutto è fuorché un equilibrio stabile.

L’Europa divisa
Frattale di ciò a cui il mondo finirà per assomigliare è la cara vecchia Europa. Attraversata, il prossimo anno dalle elezioni in Francia e Germania – i «pilastri del continente», l’asse su cui si regge la claudicante unione uscita con le ossa rotte dal 2016 -, con l’appendice di una possibile fine anticipata della legislatura pure in Italia, la terza economia europea. Secondo Stratfor, ognuna di queste elezioni può potenzialmente minacciare l’esistenza stessa dell’eurozona: “Sono anni che si dice che l’Europa potrebbe dissolversi – scrivono i ricercatori di Austin -. La domanda del 2017 è a che velocità procederà la dissoluzione”. La popolarità dei nazionalisti, sia che vincano o perdano le elezioni, infatti, “influenzerà le decisioni dei leader al potere, accelerando la frammentazione politica dell’Unione Europea, aumentando la domanda per un ritorno della sovranità dei governi nazionali e spingendo gli stati membri ad azioni unilaterali”.

Quali? Secondo Stratfor un referendum sulla permanenza nell’Euro dell’Italia sarà “molto difficile da evitare” soprattutto se la crisi bancaria italiana dovesse proseguire, infettando altri istituti dopo il Monte dei Paschi di Siena. Come sempre, toccherà alla Germania provare a tenere insieme tutto. Sarà dura farlo imponendo il rispetto di regole economiche o finanziarie come nei cinque anni appena trascorsi, dicono i ricercatori di Stratfor. Più facile che ciò avvenga “provando a lavorare assieme su sicurezza e difesa”. Nel caso ciò non avvenga, i tedeschi dovranno avere pronto un piano B. Più nello specifico, “coalizzare attorno a se i più fedeli alleati regionali, nel caso di un collasso dell’Unione”.

Paura di Mosca
Il collante? Più dell’amore per l’austerità e l’ordoliberismo, la paura per la Russia. Per Mosca, infatti, le “divisioni europee saranno un’occasione d”oro” per liberarsi delle sanzioni economiche conseguenti dall’invasione militare della Crimea – cosa che secondo Stratfor accadrà, almeno in parte, nel 2017 – e per consolidare la propria influenza lungo i propri confini occidentali. A favore di Putin gioca la convergenza d’interessi di Francia e Italia, sempre più desiderose di tornare a vendere i propri prodotti fino agli Urali e i buoni uffici del neo presidente americano Donald Trump, che è tutto fuorché russofobo. A opporsi rimarranno, per l’appunto, la Germania – altra grande potenza regionale nell’est europa -, e i Paesi che più si sentono minacciati dall’allentamento della pressione su Mosca, come la Polonia, l’Ucraina, i paesi scandinavi e le repubbliche baltiche. Meno, molto meno, lo saranno paesi come Ungheria, Austria e Grecia, sempre meno sotto la sfera di influenza della Merkel e sempre più amici di zar Vladimir.

Nel frattempo, continua il rapporto di Statfor, la Russia continuerà a giocare la sua partita in Medio Oriente, sostenendo Assad nella guerra civile siriana. Un sostegno che difficilmente porterà alla fine del conflitto – il regime ha troppi fronti aperti per chiuderli tutti – ma che servirà a Putin per consolidare la propria influenza sull’area. Soprattutto, spiega il rapporto la Russia consoliderà la sua alleanza con Teheran “man mano che le relazioni tra Usa e Iran si deterioreranno”, cosa che diversi analisti danno per scontato accadrà: “L’accordo sul nucleare iraniano sarà messo a dura prova sia dalle elezioni in Iran, sia dall’approccio più duro nei confronti di Teheran dell’amministrazione Trump”.

Usa contro Cina 
Già, The Donald. Il vero spauracchio del 2017, in teoria, dovrebbe essere lui. Ma a quanto pare, il ciuffo rosso più temuto al mondo sfogherà la sua irrequietudine su Twitter, non sul mondo: “La superpotenza non si sente più così super – annotano quelli di Statfor -. È stanca, al contrario. Ha subito un devastante attacco sul suo suolo nel 2001. Si è sovraestesa nella guerra al mondo islamico e adesso ha solo voglia di sistemare le cose a casa propria”. Perlomeno per il 2017, a meno di sorprese, scordiamoci grandi gendarmi globali.

L‘unica distrazione oltreoceano, per Trump, potrebbe essere la Cina. Di fatto, il presidente-eletto ha costruito la sua campagna elettorale sulle barriere tariffarie contro Pechino e, più in generale, contro le importazioni dall’estero di merci a basso costo che bruciano posti di lavoro nel Midwest. Magari non nel 2017, ma, insomma, difficilmente potrà venir meno alla sua promessa. Per quest’anno non sembra tempo di guerre commerciali tra Usa e Cina. Non la vuole Trump, che ha molti altri fronti aperti. Non le vuole la Cina, nell’anno del 19 congresso del Partito Comunista Cinese, nel contesto del quale Xi Jinping dovrà consolidare il suo potere.

Bentornata, inflazione?
Gli effetti del soft power americano sul mondo si sentiranno soprattutto in ambito economico. Tornerà l’inflazione, prevedono gli analisti economici di Stratfor, e la prima conseguenza di questo – gradito? – ritorno sarà la fine delle politiche non convenzionali delle banche centrali. Niente più soldi dall’elicottero o quantitative easing, insomma. Questo, in teoria, dovrebbe far salire i tassi d’interesse. E il combinato disposto col super-dollaro sarà un problema per paesi come Venezuela, Turchia, Sud Africa, Nigeria, Egitto, Cile, Brasile, Colombia e Indonesia, il cui alto debito pubblico è nominato in dollari. Se siete alla ricerca di crisi economiche regionali, potete trovarle qua. Soprattutto nei Paesi esportatori di petrolio come la Nigeria, in quelli già in crisi come il Brasile, o in quelli alla canna del gas come il Venezuela.

Globalizzazione ai titoli di coda?
Il risultato di tutte queste forze è un mondo sempre meno piatto e sempre più incline a frammentarsi in tanti piccoli o grandi blocchi. Le classi medie occidentali, le vere sconfitte del primo tempo della globalizzazione, premeranno sul pedale del nazionalismo e del ritorno ai dazi e alle produzioni locali. Le ex manifatture a basso costo, come quella cinese, proveranno a vendere sui mercati di consumo quel che producono, affrancandosi dallo status di subfornitori. Intendiamoci: siamo e resteremo sufficientemente interdipendenti, ma sarà sempre più un mondo fatto di piccoli accordi commerciali regionali – la Russia col Giappone, quel che resterà dell’Unione Europea col Regno Unito – e di manifatture che si consolidano sui mercati di sbocco, complice la rivoluzione tecnologica e l’impatto della robotica sul costo del lavoro: «Le catene produttive continueranno ad accorciarsi, ognuno potrà fare per se e l’innovazione tecnologica diminuirà l’incentivo ad approvvigionarsi di semilavorati in diversi Paesi, come avviene ora», spiega Rebecca Keller, in un altro report di Statfor di qualche mese fa. Sottotesto: a vincere saranno i Paesi con le materie prime, a perdere i trasformatori. Indovinate noi italiani ed europei da che parte siamo.

Avranno ragione? Difficile dirlo. Lo scorso anno, quelli di Statfor avevano previsto l’escalation del terrorismo islamico in Europa, ma erano convinti che nel referendum britannico avrebbe prevalso il Remain e nel loro rapporto sulla decade a venire parlavano di una crisi russa che oggi appare molto lontana. Sempre in movimento è il futuro, diceva qualcuno tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana. Forse dovremmo dare retta a Yoda quanto lo diamo ai ricercatori di Austin.